I misteri del giardino di Compton House
Peter Greenaway
Gran Bretagna
Verso la fine del diciassettesimo secolo, nella cornice dell'Inghilterra rurale, la signora Herbert cerca di convincere un pittore, il signor Neville, a realizzare una serie di dodici dipinti che ritraggono la dimora di famiglia, Compton House. Neville accetta, ma solo a patto di includere nel contratto i favori sessuali della signora mentre il marito è assente. Inizia così un soggiorno fatto di giochi di potere, abusi e soprusi, che non può che complicarsi quando si sparge la voce che il padrone di casa è stato ucciso, e che il pittore è il sospetto numero uno...
con Anthony Higgins, Janet Suzman, Anne Lambert, Hugh Fraser, Neil Cunningham
7€; ridotto 5.50€
Versione originale con sottotitoli in italiano
Quarant'anni sono trascorsi dall'uscita de I misteri del giardino di Compton House, un tempo lungo che per nulla ha smussato l'affilatissima lama satirico-grottesca dell'opera seconda di Peter Greenaway. Il restauro appena realizzato e la nuova uscita nei cinema punta i riflettori sul film che per primo portò il regista all'attenzione della scena britannica; fu girato con finanziamenti televisivi - un'altra epoca - ma fece scalpore in quanto ardito ibrido ultra-cerebrale tra giallo in costume, provocazione grottesca e arguta riflessione (come sempre del resto per Greenaway) sul valore e sulla verità dell'immagine attraverso la lente artistica.
Lo spettatore intrigato dalla produzione di Greenaway del ventennio successivo ne troverà qui la genesi, che parte dall'idea di paesaggio e della sua rappresentazione. Molto si discute e molto si mostra del lavoro ossessivo sul "framing" di Neville, il quale si vanta di saper riprodurre la realtà per ciò che è. Un concetto di cui l'intera filmografia di Greenaway si farà beffa, perché l'immagine non è mai l'essenza del reale, neanche al cinema. Il "giallo" di un omicidio e le pieghe della trama avvengono quindi fuori dall'inquadratura, indecifrabili, eppure sempre in bella vista per chi sa guardare aldilà del posizionamento degli oggetti, in una squisita satira che funziona su molteplici livelli e non ha perso - anzi, forse ci ha guadagnato - in raffinatezza.
Recensione di Tommaso Tocci