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Con la mostra Luigi Ghirri. Zone di passaggio. Discrete semioscurità nelle opere di Mario Airò, Paola Di Bello, Paola De Pietri, Gregory Crewdson, Stefano Graziani, Franco Guerzoni, Armin Linke, Amedeo Martegani, Awoiska van der Molen (dal 26 aprile 2024 al 2 marzo 2025), Palazzo dei Musei prosegue la riflessione sull’opera di Luigi Ghirri attraverso un ampio percorso dedicato al tema del buio che si propone di raccontare l’importante ruolo che questo riveste nell’immaginario collettivo e come fonte di ispirazione in fotografia e non solo.
La mostra, a cura di Ilaria Campioli e parte del programma di Fotografia Europea, mette al centro una selezione di 56 immagini di ambientazione notturna che Ghirri ha realizzato nel corso della sua produzione e che raccontano di luoghi “illuminati in maniera provvisoria, spazi che vivono una loro discreta semioscurità e che solo temporaneamente diventano luminosi in maniera festosamente provvisoria”, capaci di sollecitare l’attivazione di una lettura alternativa del reale. Per Ghirri sono dunque i bagliori, i lampi e le piccole intermittenze, ad esempio quelle delle lucciole, ad esprimere le migliori modalità di illuminazione poiché mantengono intatta la percezione di quell’oscurità troppo spesso cancellata in favore di una illuminazione da “set cinematografico dove sembra sparire tutta la magia ed il fascino della luce”.
Se il buio è al centro della ricerca di Ghirri, le “micro-rotture” generate da improvvise illuminazioni capaci di rivelare quel rapporto fra luce e buio celato nella natura, intrecciano un dialogo che amplia la riflessione grazie ai progetti di una serie di importanti autori contemporanei di fama internazionale. Sono le discrete semioscurità di Mario Airò, Gregory Crewdson, Paola Di Bello, Paola De Pietri, Stefano Graziani, Franco Guerzoni, Armin Linke, Amedeo Martegani e Awoiska van der Molen che, nella loro eterogeneità di tecniche, approcci e sguardi, indagano le zone di passaggio tra buio e luce, spazi di possibilità spesso caratterizzati da una natura precaria e transitoria in cui bagliori, aperture e illuminazioni aprono a nuove configurazioni.
Aby Warburg nel suo celebre intervento del 1923, dal titolo Il rituale del serpente, afferma che “il fulmine imprigionato nel filo - l’elettricità catturata - ha prodotto una civiltà che fa piazza pulita del paganesimo” e, in un certo senso, della sacralità che lega l’uomo alla natura. Questo timore trova in realtà un nuovo significativo orizzonte di comprensione nelle opere presenti in mostra.
Il rapporto tra luce e buio costituisce un tema centrale e imprescindibile nella storia del procedimento fotografico stesso. Inoltre, l’affrancamento dal buio, permesso dalle diverse tecniche di illuminazione artificiale, ha consentito di estendere le possibilità del medium non solo in termini di capacità di produzione stessa delle immagini, ma ampliandone l’utilizzo in luoghi bui o scarsamente illuminati come catacombe e grotte, prima inaccessibili all’occhio del fotografo.
In questo senso, ideale filo conduttore delle riflessioni offerte dai diversi progetti degli autori presenti in mostra è La photographie à la lumière artificielle, opera pubblicata nel 1914 da Albert Londe, pioniere della cronofotografia e fotografia scientifica, che si presenta come un compendio delle numerose tecniche di illuminazione pre-elettriche ad uso della fotografia.
Il manuale, di cui la mostra espone una copia in edizione originale, rivela una profonda fascinazione per la luce, indagata nelle sue componenti materico-alchemiche e in relazione a quell’oscurità dalla quale essa magicamente emerge per poi ritornarvi e dissolversi. Preziosa attestazione delle conoscenze dell’epoca, l’opera testimonia anche un grande entusiasmo nei confronti delle nuove possibilità offerte dall’illuminazione artificiale, che avrebbe permesso una “conquista del buio” grazie alla quale, secondo l’autore, nulla sarebbe stato più inaccessibile all’occhio del fotografo.
In occasione della mostra, Palazzo dei Musei declina il tema del buio e della notte con Passaggi notturni (26 aprile - 29 settembre 2024), a cura di Silvia Chicci che, attraverso l’occhio delle fototrappole, indaga l’attività notturna degli animali nei boschi. Realizzata in collaborazione con il Parco nazionale dell’Appennino tosco-emiliano, la mostra costruisce un dialogo con le ricche collezioni naturalistiche del Museo valorizzandole attraverso una lettura inedita e capace di sfruttare le moderne tecnologie.
Il crepuscolo e la notte sono per molte specie animali il tempo privilegiato per entrare in attività. Al calare del buio, prede e predatori escono dai ripari per nutrirsi e cacciare sfruttando i propri sensi appositamente affinati per orientarsi nell’oscurità. Presenze silenziose e discrete, protette dal buio della notte, percorrono boschi, sentieri e campi spingendosi alle periferie delle città eludendo lo sguardo dell’uomo. Appena oltre le zone di passaggio tra luce e buio, tra uomo e natura care a Luigi Ghirri, è la fototrappola a documentare un mondo notturno attivo e popolato.
Lo studio condotto negli ultimi trent’anni dal personale dell’attuale Parco Nazionale dell’Appennino tosco-emiliano, finalizzato a documentare anche tramite il fototrappolaggio il ritorno e l’espansione dal crinale alla pianura del lupo, ha consentito l’acquisizione di migliaia di filmati che documentano, anche a breve distanza dalle luci della città, l’attiva presenza di lupi, cinghiali, tassi, volpi, istrici, aprendo lo sguardo su una notte ricca di ‘passaggi’.
La mostra è promossa da Comune di Reggio Emilia (Musei Civici, Biblioteca Panizzi) in collaborazione con Archivio Eredi Luigi Ghirri, e realizzata grazie ai Fondi europei della Regione Emilia-Romagna. Con il contributo Art Bonus di Iren.
Per info ed eventi correlati: Musei Reggio Emilia
Ultimo aggiornamento: 24-04-2024, 10:40